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Presidente: Avv. Corradina Romano; Vice-Presidente: Avv. Barbara Marullo; Segretaria: Avv. Ester Malvagna; Tesoriere: Avv. Salvatore Pennuto; Consiglieri: Avv. Maria Antonella L'Anfusa, Avv. Veronica Giorgianni, Avv. Concetta Maiolino

martedì 9 giugno 2009

Codice Deontologico dell'Assistente Sociale

TITOLO I
DEFINIZIONE E POTESTA’ DISCIPLINARE
1. - Il presente Codice è costituito dai principi e dalle regole che gli assistenti sociali devono osservare e far osservare nell’esercizio della professione e che orientano le scelte di comportamento nei diversi livelli di responsabilità in cui operano.
2.- Il Codice si applica agli assistenti sociali ed agli assistenti sociali specialisti.
3.- Il rispetto del Codice è vincolante per l’esercizio della professione per obbligo deontologico. La non osservanza comporta l’esercizio della potestà disciplinare.
4.- Gli assistenti sociali sono tenuti alla conoscenza, comprensione e diffusione del Codice e si impegnano per la sua applicazione nelle diverse forme in cui la legge prevede l’esercizio della professione.
TITOLO II
PRINCIPI
5.- La professione si fonda sul valore, sulla dignità e sulla unicità di tutte le persone, sul rispetto dei loro diritti universalmente riconosciuti e sull’affermazione delle qualità originarie delle persone: libertà, uguaglianza, socialità, solidarietà, partecipazione.
6.- La professione è al servizio delle persone, delle famiglie, dei gruppi, delle comunità e delle diverse aggregazioni sociali per contribuire al loro sviluppo; ne valorizza l’autonomia, la soggettività, la capacità di assunzione di responsabilità; li sostiene nell’uso delle risorse proprie e della società nel prevenire ed affrontare situazioni di bisogno o di disagio e nel promuovere ogni iniziativa atta a ridurre i rischi di emarginazione.
7.- L’assistente sociale pone la persona al centro di ogni intervento.
Considera e accoglie ogni persona portatrice di una domanda, di un bisogno, di un problema come unica e distinta da altre in analoghe situazioni e la colloca entro il suo contesto di vita, di relazione e di ambiente, inteso sia in senso antropologico-culturale che fisico.
8.- L’assistente sociale svolge la sua azione professionale senza discriminazione di età, di sesso, di stato civile, di etnia, di nazionalità, di religione, di condizione sociale, di ideologia politica, di minorazione psichica o fisica, o di qualsiasi altra differenza o caratteristica personale.
9.- Nell’esercizio delle sue funzioni l’assistente sociale non esprime giudizi di valore sulle persone in base ai loro comportamenti.
10.- L’esercizio della professione si basa su fondamenti etici e scientifici, sull’autonomia tecnicoprofessionale, sull’indipendenza di giudizio, sulle conoscenze proprie della professione e sulla coscienza personale dell’assistente sociale. L’assistente sociale ha il dovere di difendere la propria autonomia da pressioni e condizionamenti.
TITOLO III
RESPONSABILITA’ DELL’ASSISTENTE SOCIALE NEI CONFRONTI DELLA PERSONA UTENTE E CLIENTE
Capo I
Diritti degli utenti e dei clienti
11.- L’assistente sociale deve impegnare la sua competenza professionale per promuovere la piena autodeterminazione degli utenti e dei clienti, la loro potenzialità ed autonomia, in quanto soggetti attivi del progetto di aiuto.
12.- Nella relazione di aiuto l’assistente sociale ha il dovere di dare, tenendo conto delle caratteristiche culturali e delle capacità di discernimento degli interessati, la più ampia informazione sui loro diritti, sui vantaggi, svantaggi, impegni, risorse, programmi e strumenti dell’intervento professionale, per il quale deve ricevere esplicito consenso, salvo disposizioni legislative e amministrative.
13.- L’assistente sociale, nel rispetto della normativa vigente e nell’ambito della propria attività professionale, deve consentire agli utenti ed ai clienti, o ai loro legali rappresentanti, l’accesso alla documentazione che li riguarda, avendo cura di proteggere le informazioni di terzi contenute nella stessa e quelle che potrebbero essere di danno agli stessi utenti o clienti.
14.- L’assistente sociale deve salvaguardare gli interessi ed i diritti degli utenti e dei clienti, in particolare di coloro che sono legalmente incapaci e deve adoperarsi per contrastare e segnalare situazioni di violenza o di sfruttamento nei confronti di minori, di adulti in situazioni di impedimento fisico e/o psicologico, anche quando le persone appaiono consenzienti.
15.- L’assistente sociale che nell’esercizio delle sue funzioni incorra in una omissione o in un errore che possano danneggiare l’utente o il cliente o la sua famiglia deve informarne l’interessato ed esperire ogni tentativo per rimediare.
16.- L’assistente sociale deve avere il consenso degli utenti e dei clienti a che terzi siano presenti durante l’intervento, o informati dello stesso, per motivi di studio, formazione, ricerca.
Capo II
Regole generali di comportamento dell’assistente sociale
17.- L’assistente sociale deve tenere un comportamento consono al decoro ed alla dignità della professione. In nessun caso abuserà della sua posizione professionale.
18.- L’assistente sociale deve mettere al servizio degli utenti e dei clienti la propria competenza e abilità professionali, costantemente aggiornate, intrattenendo il rapporto professionale solo fino a quando la situazione problematica lo richieda o la normativa glielo imponga.
19.- Qualora la complessità di una situazione lo richieda, l’assistente sociale si consulta con altri professionisti competenti.
Nel caso l’interesse dell’utente o del cliente lo esiga, l’assistente sociale trasferisce, con consenso informato e con procedimento motivato, il caso ad altro collega, fornendo ogni elemento utile alla continuità del processo di aiuto.
20.- L’assistente sociale, investito dalla magistratura o in adempimento di norme in vigore di funzioni di controllo o di tutela, deve informare gli interessati delle implicazioni derivanti da questa specifica funzione nella relazione professionale.
21.- L’assistente sociale investito di funzioni peritali deve esercitarle con imparzialità ed indipendenza di giudizio.
22.- Nel rapporto professionale l’assistente sociale non deve utilizzare la relazione con utenti e clienti per interessi o vantaggi personali, non accetta oggetti di valore, non instaura relazioni personali significative e relazioni sessuali.
Capo III
Riservatezza e segreto professionale
23.- La riservatezza ed il segreto professionale costituiscono diritto primario dell’utente e del cliente e dovere dell’assistente sociale, nei limiti della normativa vigente.
24.- La natura fiduciaria della relazione con utenti o clienti obbliga l’assistente sociale a trattare con riservatezza in ogni atto professionale le informazioni e i dati riguardanti gli stessi, per il cui uso o trasmissione, nel loro esclusivo interesse, deve ricevere l’esplicito consenso degli interessati, o dei loro legali rappresentanti, ad eccezione dei casi previsti dalla legge.
25.- L’assistente sociale ha facoltà di astenersi dal rendere testimonianza al giudice e non può essere obbligato a deporre su quanto gli è stato confidato o ha conosciuto nell’esercizio della professione, salvo i casi previsti dalla legge.
26.- L’assistente sociale deve curare la riservatezza della documentazione relativa agli utenti ed ai clienti salvaguardandola da ogni indiscrezione, anche nel caso riguardi ex utenti o clienti, anche se deceduti.
Nelle pubblicazioni scientifiche, nei materiali ad uso didattico, nelle ricerche deve curare che non sia possibile l’identificazione degli utenti o dei clienti cui si fa riferimento.
27.- L’assistente sociale che nell’esercizio della professione venga a conoscenza di fatti o cose aventi natura di segreto è obbligato a non rivelarli, salvo che per gli obblighi di legge e nei seguenti casi:
rischio di grave danno allo stesso utente o cliente o a terzi, in particolare minori, incapaci o persone impedite a causa delle condizioni fisiche, psichiche o ambientali;
richiesta scritta e motivata dei legali rappresentanti del minore o dell’incapace nell’esclusivo interesse degli stessi;
autorizzazione dell’interessato o degli interessati o dei loro legali rappresentanti resi edotti delle conseguenze della rivelazione;
rischio grave per l’incolumità dell’assistente sociale.
28.- L’assistente sociale è tenuto ad esigere l’obbligo della riservatezza e del segreto d’ufficio da parte di coloro con i quali collabora e/o che possono avere accesso alle informazioni o documentazioni riservate.
29.- La collaborazione dell’assistente sociale alla costituzione di banche dati deve garantire il diritto degli utenti e dei clienti alla riservatezza, nel rispetto delle norme di legge.
30.- L’assistente sociale nel rapporto con enti, colleghi ed altri professionisti fornisce unicamente dati e informazioni strettamente attinenti e indispensabili alla definizione dell’intervento.
31.- Nei rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di diffusione l’assistente sociale, oltre che ispirarsi a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare dichiarazioni o interviste, è tenuto al rispetto della riservatezza e del segreto professionale.
32.- La sospensione dall’esercizio della professione non esime l’assistente sociale dagli obblighi previsti dal Capo III del presente Titolo ai quali è moralmente e giuridicamente vincolato anche in caso di cancellazione dall’Albo.
TITOLO IV
RESPONSABILITÀ DELL’ASSISTENTE SOCIALE NEI CONFRONTI DELLA SOCIETÀ
Capo I
Partecipazione e promozione del benessere sociale
33.- L’assistente sociale deve contribuire a promuovere una cultura della solidarietà e della sussidiarietà, favorendo o promuovendo iniziative di partecipazione volte a costruire un tessuto sociale accogliente e rispettoso dei diritti di tutti; in particolare riconosce e sostiene la famiglia quale risorsa primaria.
34.- L’assistente sociale deve contribuire a sviluppare negli utenti e nei clienti la conoscenza e l’esercizio dei propri diritti-doveri nell’ambito della collettività, promuovere e sostenere processi di maturazione e responsabilizzazione sociale e civica, favorire percorsi di crescita anche collettivi che sviluppino sinergie e aiutino singoli e gruppi, anche in situazione di svantaggio.
35.- Nelle diverse forme dell’esercizio della professione l’assistente sociale non può prescindere da una precisa conoscenza della realtà socio-territoriale in cui opera e da una adeguata considerazione del contesto culturale e di valori, identificando le diversità e la molteplicità come una ricchezza da salvaguardare e da difendere.
36.- L’assistente sociale deve contribuire alla promozione, allo sviluppo ed al sostegno di politiche sociali integrate favorevoli alla emancipazione di comunità e gruppi marginali e di programmi finalizzati al miglioramento della loro qualità di vita.
37.- L’assistente sociale ha il dovere di porre all’attenzione delle istituzioni che ne hanno la responsabilità e della stessa opinione pubblica situazioni di deprivazione e gravi stati di disagio non sufficientemente tutelati.
38.- L’assistente sociale deve conoscere i soggetti attivi in campo sociale, sia privati che pubblici, e ricercarne la collaborazione per obiettivi e azioni comuni che rispondano in maniera articolata, integrata e differenziata a bisogni espressi, superando la logica della risposta assistenziale e contribuendo alla promozione di un sistema di rete integrato.
39.- L’assistente sociale deve contribuire ad una corretta e diffusa informazione sui servizi a favore delle persone per l’accesso e l’uso delle risorse e delle opportunità per tutti.
40.- In caso di calamità pubblica o di gravi emergenze sociali, l’assistente sociale si mette a disposizione dell’amministrazione per cui opera o dell’autorità competente, contribuendo per la propria
competenza a programmi e interventi diretti al superamento dello stato di crisi.
TITOLO V
LA RESPONSABILITA’ DELL’ASSISTENTE SOCIALE NEI CONFRONTI DI COLLEGHI ED ALTRI PROFESSIONISTI
Capo I
Rapporti con i colleghi ed altri professionisti
41.- L’assistente sociale intrattiene con i colleghi e con gli altri professionisti con i quali collabora rapporti improntati a correttezza, lealtà e spirito di collaborazione.
L’assistente sociale si adopera per la soluzione di possibili contrasti nell’interesse dell’utente, del cliente e della comunità professionale.
42.- L’assistente sociale che, a qualsiasi titolo, stabilisca un rapporto di lavoro con colleghi ed organizzazioni pubbliche o private, chiede il rispetto delle norme etico-deontologiche che informano la professione, fornisce informazioni sulle specifiche competenze e sulla metodologia applicata per salvaguardare il proprio ed altrui ambito di competenza e di intervento.
43.- L’assistente sociale che venga a conoscenza di fatti, condizioni o comportamenti di colleghi o di altri professionisti, che possano arrecare grave danno a utenti o clienti, ha l’obbligo di segnalare la situazione all’Ordine o Collegio professionale competente.
TITOLO VI
LA RESPONSABILITA’ DELL’ASSISTENTE SOCIALE NEI CONFRONTI DELL’ORGANIZZAZIONE DI LAVORO
Capo I
L’assistente sociale nei confronti dell’organizzazione di lavoro
44.- L’assistente sociale deve esigere il rispetto del suo profilo professionale, la tutela anche giuridica nell’esercizio delle sue funzioni professionali e la garanzia del rispetto del segreto professionale e del segreto di ufficio.
45.- L’assistente sociale deve impegnare la propria competenza professionale per contribuire al miglioramento della politica e delle procedure dell’organizzazione di lavoro, all’efficacia, all’efficienza, all’economicità ed alla qualità degli interventi, contribuendo alle azioni di pianificazione e programmazione, nonché al razionale ed equo utilizzo delle risorse a disposizione.
46.- L’assistente sociale non deve accettare o mettersi in condizioni di lavoro che comportino azioni incompatibili con i principi e le norme del Codice o che siano in contrasto con il mandato sociale o che possano compromettere gravemente la qualità e gli obiettivi degli interventi o non garantire rispetto e riservatezza agli utenti e ai clienti.
47.- L’assistente sociale deve adoperarsi affinché le sue prestazioni professionali si compiano nei termini di tempo adeguati a realizzare interventi qualificati ed efficaci ed in un ambiente idoneo a tutelare la riservatezza dell’utente e del cliente.
48.- L’assistente sociale deve segnalare alla organizzazione di lavoro o evitare nell’esercizio della libera professione l’eccessivo cumulo di incarichi e di prestazioni quando questo torni di pregiudizio all’utente o al cliente.
49.- L’assistente sociale che svolge compiti di direzione o coordinamento rispetta l’autonomia tecnica e di giudizio dei colleghi, ne promuove la formazione, la cooperazione e la crescita professionale, valorizza esperienze e modelli innovativi di intervento.
Il rapporto gerarchico tra colleghi si inscrive all’interno di un rapporto di congruenze tra l’azione del singolo professionista, le politiche e le procedure dell’organizzazione di lavoro, di cui il responsabile gerarchico è espressione.
50.- Nel caso in cui non esista un ordine funzionale gerarchico della professione, l’assistente sociale risponde ai responsabili dell’organizzazione di lavoro per gli aspetti amministrativi, salvaguardando la sua autonomia tecnica e di giudizio.
51.- L’assistente sociale deve richiedere opportunità di aggiornamento e di formazione permanente e adoperarsi affinché si sviluppi la supervisione professionale.
TITOLO VII
LA RESPONSABILITÀ DELL’ASSISTENTE SOCIALE NEI CONFRONTI DELLA PROFESSIONE
Capo I
Promozione e tutela della Professione
52.- L’assistente sociale può esercitare l’attività professionale in rapporto di dipendenza con enti pubblici e privati o in forma autonoma o libero-professionale.
53.- L’assistente sociale deve adoperarsi nei diversi livelli e nelle diverse forme dell’esercizio professionale per far conoscere e sostenere i valori, le conoscenze e la metodologia della professione.
Deve impegnarsi attraverso la funzione didattica, la ricerca, la divulgazione della propria esperienza a fornire elementi per la definizione di evidenze scientifiche.
54.- L’assistente sociale è tenuto alla propria formazione continua al fine di garantire prestazioni qualificate, adeguate al progresso scientifico, metodologico e tecnologico.
55.- L’assistente sociale deve segnalare per iscritto all’Ordine l’esercizio abusivo della professione di cui sia a conoscenza.
56.- L’assistente sociale deve adoperarsi per il rispetto e la tutela dell’immagine della comunità professionale e dei suoi organismi rappresentativi.
Capo II
Onorari
57.- Nel rispetto delle leggi che regolano l’esercizio professionale privato, vale il principio generale dell’intesa sull’onorario fra l’assistente sociale ed il cliente. L’assistente sociale è tenuto a far conoscere il suo onorario al momento dell’incarico o non appena sia chiara la richiesta e concordato il piano di intervento. Deve informare il cliente che i compensi non sono subordinati al risultato delle prestazioni.
58.- Nella determinazione degli onorari l’assistente sociale deve attenersi alle indicazioni fornite in materia dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali; può tuttavia prestare la sua opera a titolo gratuito.
59.- L’assistente sociale, nel rispetto delle normative vigenti, è tenuto a dare informazioni veritiere e corrette sulle sue competenze professionali e può pubblicizzarle con rispetto dei principi di verità, decoro e del prestigio della professione.
Capo III
Sanzioni
60.- L’iscrizione all’albo è requisito necessario ed essenziale per l’esercizio dell’attività professionale.
E’ sanzionabile anche disciplinarmente lo svolgimento di attività in periodo di sospensione dell’iscrizione; dell’infrazione risponde disciplinarmente anche l’assistente sociale che abbia reso possibile direttamente o indirettamente l’attività irregolare.
61.- L’inosservanza dei precetti e degli obblighi fissati dal presente Codice deontologico e ogni azione od omissione comunque non consone al decoro o al corretto esercizio della professione sono punibili con le procedure disciplinari e le relative sanzioni previste nell’apposito Regolamento emanato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine.
Il Regolamento disciplinare è parte integrante del presente Codice.
62.- Il procedimento disciplinare è promosso d’ufficio o su richiesta del prefetto o del procuratore della Repubblica.
63.- Nel caso di studi associati è responsabile sotto il profilo disciplinare il singolo professionista a cui si riferiscono i fatti specifici.
Capo IV
Rapporti con il Consiglio dell’Ordine
64.- L’assistente sociale ha il dovere di collaborare con il Consiglio dell’Ordine di appartenenza per l’attuazione delle finalità istituzionali. A tal fine ogni iscritto è tenuto a riferire al Consiglio fatti di sua conoscenza relativi all’esercizio professionale che richiedano iniziative o interventi dell’Organo, anche diretti alla sua personale tutela.
65.- L’assistente sociale chiamato a far parte del Consiglio Nazionale, regionale o interregionale dell’Ordine deve adempiere l’incarico con impegno costante, correttezza, imparzialità e nell’interesse della comunità professionale ed essere parte attiva nelle politiche dei servizi.
66.- L’assistente sociale impegnato nel Consiglio dell’Ordine nazionale o degli Ordini regionali o interregionali deve rendere conto agli iscritti dell’operato del suo mandato.
Capo V
Attività professionale dell’assistente sociale all’estero e attività degli stranieri in Italia
67.- Nel rispetto delle leggi che regolano le attività professionali all’estero, l’assistente sociale è tenuto al rispetto delle norme deontologiche del paese in cui esercita; ove assenti è tenuto al rispetto delle norme del presente Codice. L’assistente sociale straniero che, in possesso dei requisiti di legge, eserciti in Italia, è tenuto all’obbligo di osservanza del presente Codice.
Capo VI
Aggiornamento del Codice
68.- Il Consiglio Nazionale, sulla scorta delle questioni problematiche che emergeranno dall’applicazione del Codice, provvederà alla sua revisione. A tal fine è istituito l’Osservatorio nazionale permanente.
DISPOSIZIONI FINALI
Gli Ordini regionali e interregionali degli assistenti sociali sono tenuti ad inviare ai nuovi iscritti all’Albo il Codice deontologico ed a promuovere periodicamente occasioni di aggiornamento e di approfondimento sul Codice.

Codice Deontologico degli Psicologi

CAPO I
PRINCIPI GENERALI
art. 1
Le regole del presente codice deontologico sono vincolanti per tutti gli iscritti all’ Albo degli Psicologi.
Lo psicologo è tenuto alla loro conoscenza, e I’ ignoranza delle medesime non esime dalla responsabilità disciplinare.
art. 2
L’ inosservanza dei precetti stabiliti nel presente codice deontologico, ed ogni azione od omissione comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al corretto esercizio della professione, sono puniti con le sanzioni disciplinari previste dall’ art. 26, comma 1 della Legge 18 febbraio 1989, n. 56.
art. 3
Lo psicologo considera suo compito accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico delI’ individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stesse e gli altri, e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. Lo psicologo è conscio della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’ esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto presta particolare attenzione ai fattori personali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’ uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente Ia fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei clienti e/o pazienti. Lo psicologo accetta la responsabilità dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze.
art. 4
Nell’ esercizio della professione lo psicologo rispetta la dignità e il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’ autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’ imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base all’ estrazione sociale, al sesso di appartenenza, alI’ orientamento sessuale, all’ etnia, alla religione, alla nazionalità, alla disabilità ed allo stato socio-economico.
Pertanto utilizza metodi e tecniche che salvaguardino tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra il cliente e/o paziente e I’ istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ ultimo deve esplicitare con chiarezzai termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui si sente obbligato per lealtà professionale, ed informa di ciò le parti in causa. In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’ intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’ intervento stesso.
art. 5
Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di competenza professionale. Utilizza, pertanto, solo metodiche, tecniche e strumenti psicologici ai quali è adeguatamente addestrato, riconoscendo i limiti della propria competenza. Non impiega metodologie senza fondamento scientifico, e non suscita aspettative infondate. Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Nelle dichiarazioni pubbliche evita di dar luogo a mistificazioni e travisamenti attraverso il sensazionalismo, I’ esagerazione e la superficialità. Riconosce quale suo obbligo primario quello di aiu- tare il pubblico e gli utenti a sviluppare giudizi, opinioni e scelte con cognizione di causa.
art. 6
Lo psicologo non accetta condizioni di lavoro che compremettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice. Si adopera per il rispetto di tali norme qualunque sia la sua posizione gerarchica in ambito lavorativo o la natura del suo rapporto di lavoro.
art. 7
Lo psicologo salvaguarda la sua autonomia nella scelta dei metodi e delle tecniche psicologiche nonchè della loro utilizzazione, ed è perciò responsabile della loro applicazione ed uso, e dei risultati e delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava.
art. 8
Nel comunicare i risultati delle proprie valutazioni e delle proprie ricerche lo psicologo si vieta di presentare dati inventati, falsificati o distorti in tutto o in parte. Considera attentamente, anche in relazione al contesto, il grado di validità e di attendibilita di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte; espone, all’ occorrenza, le ipotesi interpretative alternative, ed esplicita i limiti dei risultati, specialmente laddove il proprio lavoro tocca aspetti socio- politici o può essere interpretato a detrimento di persone o di gruppi.
Lo psicologo, su casi personali, non esprime valutazioni e giudizi professionali che non siano fondati sulla conoscenza diretta ovvero su una documentazione adeguata ed attendibile.
art. 9
Lo psicologo contrasta I’esercizio abusivo della professione come stabilito dagli articoli 1 e 3 della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, e si obbliga a portare a conoscenza del Consiglio dell’Ordine i casi di abusivismo dei quali viene a conoscenza. Parimenti, non avalla con il proprio titolo attività ingannevoli.Nella collaborazione con professionisti di altre discipline, esercita la propria piena autonomia professionale nel rispetto dell’ altrui competenze.
art. 10
Nella sua attività di ricerca lo psicologo è tenuto ad informare adeguatamente i soggetti umani in essa coinvolti, al fine di ottenerne il previo consenso, e deve altresì garantire a tali soggetti la piena libertà di concedere, di rifiutare ovvero di ritirare il consenso stesso. Per quanto concerne i soggetti che, per età o per altri motivi, non sono in grado di esprimere valida- mente il loro consenso, questo deve essere dato da chi ne ha la patria potestà o la tutela, ma altresì dai soggetti stessi, ove siano in grado di comprendere la natura della collaborazione richiesta. Deve essere tutelato il diritto alla riservatezza, alla non riconoscibilita ed all’ anonimato, anche ove non vi sia la possibilità di entrare in previo rapporto con i soggetti. Nelle ipotesi in cui la natura della ricerca non consenta di informare preventivamente e correttamente i soggetti su taluni aspetti della ricerca stessa, lo psicologo ha l’obbligo di fornire, alla fine della prova ovvero della raccolta dei dati, ogni informazione sulla natura e sulla finalità della ricerca, e di ottenere I’ autorizzazione all’ uso dei dati raccolti.
art. 11
Quando le attivita professionali hanno ad oggetto il comportamento animale, lo psicologo si impegna ad assicurare il benessere e la sopravvivenza degli animali stessi.
art. 12
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto, non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, ne informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti. Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale, a meno che non sussista il valido e dimostrabile consenso da parte del cliente e/o paziente,
art. 13
Lo psicologo puo derogare dall’ obbligo di mantenere il segreto professionale in presenza di valido e dimostrabile consenso del cliente e/o paziente. Valuta, comunque, I’ opportunita di fare uso di tale consenso, considerando preminentemente la tutela psicologica del cliente e/o paziente.
art. 14
Nel caso di obbligo di referto, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, al fine di non recare danno al cliente e/o al paziente, valutando con prudenza le ipotesi nelle quali la propria doverosa riservatezza comporti grave pericolo per la vita o per la salute psicofisica di terzi.
art. 15
Nel caso di sedute psicoterapeutiche di gruppo, lo psicologo è tenuto ad invitare con fermezza i propri clienti o pazienti ad attenersi al segreto relativamente a quanto riguarda la composizione del gruppo e a quanto avviene nelle sedute stesse.
art. 16
Nei casi di collaborazione con altri professionisti parimenti tenuti al segreto professionale, lo psicologo può condividere soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo di collaborazione.
art. 17
Lo psicologo redige le comunicazioni scientifiche, ancorchè indirizzate ad un pubblico di professionisti tenuti al segreto professionale, in modo da salvaguardare in ogni caso l’ anonimato del paziente.
art. 18
La segretezza delle comunicazioni del cliente e/o del paziente deve essere protetta anche attraverso la custodia ed il controllo di appunti, note, scritti o registrazioni di qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma che riguardino il rapporto professionale. Lo psicologo deve provvedere perchè, in caso di sua morte o di suo impedimento, tale protezione sia affidata ad un collega ovvero ad un congiunto. Lo psicologo non collabora alla costituzione ed all’uso di sistemi di documentazione se non esistono garanzie assolute di tutela del cliente e/o del paziente.
art. 19
Lo psicologo che rivesta cariche pubbliche non deve avvalersene a scopi di indebito vantaggio personale.
art. 20
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinchè sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista a cui rivolgersi.
art. 21
Lo psicologo che presta la sua opera professionale in contesti di selezione e valutazione di colleghi, di altre figure professionali o di studenti, è tenuto a rispettare esclusivamente i criteri della specifica competenza, qualificazione o preparazione, e non avalla decisioni contrarie a tali principi.
art. 22
Lo Psicologo si vieta qualsiasi condotta atta a nuocere alle persone di cui si occupa professionalmente, e non utilizza il proprio ruolo e i propri strumenti professionali per assicurare a se o ad altri indebiti vantaggi personali.
art. 23
II compenso per le prestazioni professionali deve essere pattuito nella fase iniziale del rapporto professionale. In nessun caso tale compenso puo essere condizionato all’ esito o ai risultati dell’intervento professionale dello psicologo.
art. 24
Lo psicologo fornisce, nella fase iniziale del rapporto professionale, all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e gli scopi delle stesse, nonchè circa il grado e gli eventuali limiti di riservatezza. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
art. 25
Lo psicologo si vieta I’ uso improprio degli strumenti di diagnosi e di valutazione di cui dispone. Nel caso di interventi commissionati da terzi, informa i soggetti circa la natura del suo intervento professionale, e non utilizza le notizie apprese in modo che possano recare ad essi pregiudizio, se non all’interno del mandato ricevuto. Nella comunicazione dei risultati dei propri interventi diagnostici e valutativi, lo psicologo è tenuto a regolare tale comunicazione anche in relazione alla tutela psicologica del soggetto.
art. 26
Lo psicologo riconosce che i problemi personali ed i conflitti possono interferire con I’efficacia delle sue prestazioni professionali, e si astiene pertanto dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività nel caso in cui sia consapevole di problemi o conflitti che possano rendere inadeguate le prestazioni medesime, o arrecare danno alle persone interessate alle stesse.
art. 27
Lo psicologo è tenuto a interrompere il rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie per ricercare altri e più adatti interventi.
art. 28
Lo psicologo non effetua interventi valutativi, diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, e si astiene dall’ instaurarle nel corso del rapporto professionale, pena I’immediata cessazione del rapporto stesso. Lo psicologo non sfrutta in alcun modo la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione, di tirocinanti e di studenti, per fini estranei al rapporto professionale.
Si astiene da qualsiasi attività, con i propri pazienti, estranea alla specificità del rapporto professionale, che possa in qualsiasi modo produrre per lui vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale.
art. 29
Lo psicologo non deve subordinare il proprio intervento, senza che ne ricorrano fondati e documentabili motivi di natura scientifico-professionale, alla condizione che il paziente si serva di determinati presidi, istituti o luoghi di cura dallo stesso psicologo indicati.
art. 30
E’ vietata qualsiasi forma di compenso, estranea alla prestazione prefessionale, nei rapporti fra psicologi e strutture o istituzioni sanitarie.
art. 31
L’erogazione di prestazioni professionali a soggetti minorenni o interdetti è subordinata al consenso di chi esercita sui medesimi la patria potestà o la tutela, fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorita legalmente competente.
Nell’ipotesi che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, lo psicologo ravvisi come indispensabile un intervento professionale in relazione a gravi rischi per la salute e lo sviluppo psicofisico del minore o dell’interdetto, è tenuto a segnalare il caso all’autorità tutoria competente.
art. 32
Quando lo psicologo acconsente a fornire una prestazione professionale su richiesta di un ente ovvero di una persona diversa dall’ ente o dalla persona oggetto della prestazione stessa, è tenuto a chiarire con ogni parte la natura e gli scopi del suo intervento, nonché l’ uso al quale tale intervento è finalizzato.
art. 33
I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi al principio del rispetto reciproco, della lealtà e della solidarietà. L o psicologo si impegna a sostenere i propri colleghi nella difesa dell’autonomia e dell’indipendenza professionale, nonchè dei principi deontologici.
art. 34
Lo psicologo si impegna a favorire la formazione e l’ aggiornamento dei propri colleghi. Si adopera affinché l’ insegnamento di tecniche e di strumenti professionali sia svolto da chi abbia acquisito una adeguata competenza e preparazione.
art. 35
Lo psicologo si ritiene impegnato a comunicare i progressi delle sue conoscenze e delle sue tecniche alla comunità professionale. Sente altresì come sua responsabilità primaria, quella di favorire la diffusione delle proprie conoscenze per scopi di benessere umano e sociale, e pertanto si adopera per promuoverne la divulgazione nella società civile, qualora tali conoscenze abbiano, a giudizio della comunità professionale, significativa rilevanza sociale.
art. 36
Nel presentare i risultati delle proprie ricerche, lo psicologo deve evitare di attribuire a sè contributi che provengano da colleghi o comunque da altre fonti.
art. 37
Lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla loro competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di interventi professionali, o comunque lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale. Costituisce colpa particolarmente grave se tali giudizi negativi sono volti a sottrarre clientela ai colleghi. Qualora ravvisi significative carenze nella competenza dei colleghi, ovvero casi di scorretta condotta professionale che possano tradursi in danno per i pazenti o per il decoro della professione, lo psicologo è tenuto a darne tempestiva comunicazione al Consiglio dell’ Ordine competente.
art. 38
Lo psicolgo invia clienti o pazienti a colleghi ovvero ad altri professionisti tenendo conto della competenza di questi ad operare nell’ambito professionale richiesto dalla domanda del cliente e/o del paziente. Se I’ interesse del cliente e/o del paziente richiede il ricorso ad altre specifiche competenze, lo psicologo deve proporre la consulenza di altro collega o di altro professionista. Non pretende né accetta compensi di qualsiasi natura per tali invii né per le proposte consulenze.
art. 39
Nell’ esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto a uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della dignità professionale.
art. 40
Lo psicologo si astiene dal rilasciare dichiarazioni false o ingannevoli concernenti la propria formazione,
la propria competenza, nonchè i risultati conseguiti con i propri interventi professionali.
art. 41
Indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in materia di pubblicità, lo psicologo evita di assumere pubblicamente comportamenti scorretti finalizzati al procacciamento della clientela.

(Testo approvato dal Consiglio Nazionale delI’Ordine degli psicologi il 18 novembre 1995)

Eventi

  • 3-4 Aprile 2009 - Catania Grand Hotel Excelsior - Corso di Aggiornamento Professionale, con la collaborazione della Camera Minorile di Siracusa, accreditato dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Catania, sul tema :" Il minore testimone-persona offesa. Genuinità della prova tra istanze di tutela e garanzie del contraddittorio". Il modulo di iscrizione si trova sui siti www.cameraminorilecatania.it, www.medeacom.com ovvero presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Siracusa.